Airìn è una voce chiara e limpida al servizio di canzoni d'amore che vanno in giro con il vestito della festa. Nel suo disco d'esordio mette insieme nove brani che sono altrettanti schizzi di figure femminili o nove sfaccettature di un'unica donna innamorata, fragile, disincantata e forte. Tante tracce di caratteri di donna, tante tracce di voci.
Airìn riesce a fondere i mondi vocali toccati da Elisa e Ginevra di Marco e imprimervi una propria originalità. Il pop allegro e veloce di "Fiume senz'argini" e "Andare a un funerale", la sofisticatezza di "Voglia di credermi bella", l'essenzialità malinconica de "Il regalo", l'intimismo di "Regina": testi che non fanno gridare al miracolo ma riescono abilmente a trarsi fuori dalle sabbie mobili degli stereotipi pop-sentimentali, musiche che danno un tocco di classe e compiutezza. E non potrebbe essere altrimenti, visti i nomi coinvolti. Maestro di cerimonie è Enrico Gabrielli, che porta con sé meta dei Mariposa e chiama a raccolta una squadra che comprende Marco 'Goodmorningboy' Iacampo, Fpunto e Roberto Dell'Era e Rodrigo D'Erasmo (Afterhours).
Il risultato è un disco variopinto e mai noioso, che coniuga con grazia la voce di Airìn (al secolo Irene Maggi) e le ricchezza di arrangiamenti che spaziano nei generi ma riescono a mantenere una costante sensazione di nervosismo e lieve tensione, capace di dare compattezza e ulteriore qualità all'album. "Il regalo" è il lavoro di un'artista interessante e già in grado di dare ottime sensazioni. Un esempio perfetto di pop di classe: nel migliore dei mondi possibili dovrebbe girare a ripetizione nelle radio.
Un divertissement musicale. Power pop tutto al femminile, quello de Le Pinne, che confezionano un esordio ironico ma non pungente, gradevole ma non ammiccante, leggero nella pienezza del suo termine. La personalità di certo non manca a Simona Severini e Irene Maggi, istrioniche musiciste ed autrici apprezzabili, che si cimentano con l'arduo compito di dare sostanza a una formula sonora apparentemente scanzonata, ma dalla lettura non didascalica, briosa eppure con uno spessore totalmente messo a fuoco. L'obiettivo da raggiungere dovrebbe ragionevolmente essere quello di disinnescare il rischio di un romanticismo stucchevole, rendendo la scrittura al femminile credibile in un racconto volutamente giocoso.
Lo start up iniziale si dimostra però ancora lontano dal raggiungimento dello stesso. C'è da regolare, ascoltandole, il proprio umore sul loro mood fieramente ottimistico, far girare le canzoni nella stagione giusta e non cercare sottotesti. La polvere viene infatti spazzata sotto il tappeto, perché le letture sono sempre manifeste.
Per il futuro, da ricercare sono varietà stilistica, irrobustimento compositivo, migliore e più consapevole utilizzo di chorus e voci. Le Pinne danno risalto alla dimensione live come elemento naturale dove far crescere i germogli di questa esperienza musicale, ma per superare la piacevolezza dell'ascolto, bisogna lavorare al massimo livello sulla consistenza dei brani.
Come faceva la canzone? Ti amo, poi ti odio, poi ti amo. Ecco, il disco dell'Officina della Camomilla è tutto qui. A fasi alterne, si passa dal fastidio alla piacevolezza, dalla voglia di abbracciarli a quella di insultarli. A respingere sono registrazione ai limiti dell'incomprensibile, voci improponibili, musiche pressoché inesistenti. In sintesi, un'esaltazione dell'estetica lo-fi da cameretta talmente sfacciata da sembrare pretestuosa, quasi paracula. Roba che, messa così tutta in fila, dà l'effetto del classico gessetto strisciato sulla lavagna. Eppure, ascoltando il disco, ci si ritrova (molto) spesso a sorridere. È vero, c'è tutto quello appena descritto, ma c'è anche un approccio a metà tra il gioco e il twee, capace di smorzare ogni pretenziosità e di buttarla nel cazzeggio tra amici, con dosi di ingenuità e spontaneità tali da ribaltare le prime impressioni negative. L'Officina della Camomilla riesce infatti a creare un mondo tutto suo. Un po' come se i Pecksniff non si rifugiassero negli hocus pocus e nel loro universo da fiaba, ma decidessero di descrivere quello che li circonda. Partendo sempre da cose piccole e da fatti minori, per mettere insieme un racconto zuccheroso in stile Chewingum. Così finisci per perderti e divertirti, dicendo che in fondo non sono per niente male. Pochi minuti dopo, però, sei già pronto a premere stop giurando di non volerli ascoltare più. Ti amo, poi ti odio, poi ti amo. Basta saperlo..